La Pet-Therapy nasce per la prima volta nel 1960, i suoi benefici vennero introdotti dallo psichiatra Boris Levinson che la applicò con i suoi pazienti. Egli constatò nei suoi studi che questa attività facilitava la cura di alcuni soggetti, eliminando stress e depressione: prendersi cura di un animale aiuta a calmare l’ansia. La P.T. è una relazione tra uomo e animale, è una terapia che coadiuva le cure tradizionali; l’interazione emotiva con l’animale crea un canale di comunicazione con l’ospite e in molti casi questo canale è l’unica via di comunicazione. Alcuni degli obiettivi che si vogliono raggiungere con tale attività sono, ad esempio: favorire la stimolazione sensoriale attraverso il contatto con il cane e la socialità degli ospiti, la relazione fra loro, tra loro e gli operatori; ridurre i disturbi comportamentali e stimolare la memoria a lungo termine e la comunicazione verbale e non verbale; esercitare la manualità e migliorare l’autostima.
La P.T. può essere definita come un intervento assistenziale e co-terapeutico che consiste in una serie di sedute finalizzate a migliorare il livello di benessere di persone con problemi di varia natura: psichica, fisica, socio-relazionale. In particolare si lavora su peculiari meccanismi fisici e psichici:
- Tatto: accarezzare un cane abbassa e normalizza la pressione sanguigna. Il piacere tattile e il contatto fisico consentono la giusta formazione di un confine psicologico, della propria identità, del proprio Sé e della propria esistenza;
- Voce: la comunicazione uomo-animale rompe il silenzio e allontana i pensieri negativi, la semplicità del linguaggio, con la sua cadenza e le sue ripetizioni, produce un effetto rassicurante in chi parla;
- Gioco: il divertimento produce benefici psicosomatici, libera l’accumulo di tensioni e di energie, consentendo uno stato di calma;
- Socialità: la presenza di un cane è un’occasione per l’interazione con altri soggetti presenti. Si parla, si spiega e si racconta.
- Responsabilità: si riacquista una dimensione di dovere e di attività, direttamente proporzionale alle possibilità dell’anziano;
- Empatia: l’identificazione con l’animale spesso viene traslata alle relazioni con altri soggetti presenti;
- Antropomorfismo: spesso l’anziano vive la sua condizione di sofferenza con egocentrismo, non andando fuori, non ascoltando nessuno. L’attribuzione di qualche caratteristica umana all’animale a volte funziona come meccanismo per focalizzare la propria attenzione sul mondo esterno;
- Movimento: a volte, avendo un animale vicino, coloro che ormai ritengono di non riuscire a fare più un certo movimento, scoprono di esserne ancora in grado sentendosi invogliati a muoversi o alzarsi per accarezzarlo.
La scelta delle persone da coinvolgere è ricaduta su quegli ospiti che per l’alto grado di compromissione cognitiva (MMSE compresi tra non somministrabile e 13/30) non riescono a trarre benessere dalle altre attività proposte. Ovviamente abbiamo prima indagato, attraverso i parenti, che gli ospiti in questione non avessero paura degli animali e del cane in particolare. Naturalmente abbiamo mantenuto come peculiarità il lavoro sul tatto, la voce, il gioco, la socialità, la responsabilità e l’empatia.
Ogni incontro inizia con il far accomodare gli ospiti nella sala preposta a tale attività in semi cerchio e prima dell’arrivo dei cani. Durante la seduta si invita l’anziano ad accarezzare il cane, a chiamarlo per nome, a impartirgli semplici ordini; viene inoltre stimolato a riferire (attraverso la tecnica della reminiscenza) ricordi di esperienze passate con animali, in modo da incentivare la conversazione sia con il personale che tra gli ospiti stessi.
Nello specifico abbiamo focalizzato l’attenzione sulle attività di:
- CURA: dare da mangiare e da bere, accudire, spazzolare, accarezzare sono attività non eccitative, volte a mantenere calma e autocontrollo; mansioni collaborative (per limitare i comportamenti ossessivi) e di accudimento e igiene (per sviluppare l’autocontrollo);
- LUDICHE: vari giochi interattivi con l’animale quali il lancio della palla, giochi di riporto, gioco del bocconcino, gioco delle scatole, ecc. perché come dice Neruda “Il bambino che non gioca non è un bambino, ma l’adulto che non gioca ha perso per sempre il bambino che ha dentro di sé” e l’io bambino ci aiuta a capire le nostre esigenze. Un modo per riuscire a sorridere anche nelle giornate nere, per commuoversi davanti a un emozione, per non scoraggiarsi davanti alle difficoltà e per affrontare sempre tutti i giorni la vita con la stessa curiosità ed energia di quando eravamo bambini.
- BIOGRAFICHE: grazie alla vicinanza dell’animale si riesce a stimolare l’ospite al ricordo delle esperienze autobiografiche;
- MOTORIE/GESTIONALI: passeggiata al guinzaglio, percorsi vari con l’ausilio di conetti (slalom tra i coni, passeggiata all’interno del triangolo, salto dell’ostacolo, lancio pallina, ecc.) rimettono in gioco risorse che l’anziano credeva perdute;
- COGNITIVE: ricordare una sequenza come ad es. seduto, resta, vieni, giochi cognitivi che riguardano il cane ma che vengono svolti dall’anziano in assenza dell’animale (ad es. materiale cartaceo con dei setting e foto del cane da abbinare), gioco interattivo delle scatole, ecc. che permettono una efficacie stimolazione a livello cerebrale.
CONCLUSIONI
Per misurare il benessere degli ospiti coinvolti abbiamo creato una griglia in cui nelle ascisse sono indicati i tempi, suddivisi in trenta minuti, e nelle ordinate i disturbi comportamentali secondo la classificazione di Cohen-Mansfield. Questo ci ha permesso di misurare sia la qualità che la frequenza della comparsa dei disturbi comportamentali.
Da quanto osservato si evince un discreto benessere dalla quasi totalità degli ospiti, derivante dal contatto fisico con il cane: in questi momenti si abbassavano sin quasi a sparire tutti gli atteggiamenti che esprimono un chiaro disagio. Una metà circa ha giocato ed interagito attivamente con il cane, mentre l’altra metà ha con interesse seguito, osservato ciò che avveniva intorno a loro.
Sono stati prodotti anche effetti a lungo termine: Angelo viene calmato da “Charlie” il cane pupazzo portato dalle figlie. In questo caso il pupazzo viene usato come mediatore e dato solo ed esclusivamente nei momenti in cui A. è aggressivo, irritato, nervoso. Il nome del pupazzo è stato dato da lui stesso giacché così si chiamava il suo cane. È straordinario veder un uomo tutto d’un pezzo, con l’espressione seria, illuminarsi e “sciogliersi” quando gli si chiede di poter accarezzare Charlie. Un altro ospite ha riconosciuto in un documentario in televisione “Ginger” il nostro pastore delle Shetland protagonista degli incontri di P.T.. Ciò è stato fonte di un ulteriore confronto costruttivo che legano ancor di più l’ospite all’operatore, regalandogli quell’importanza, gratificazione, autostima di cui ha bisogno per poter emergere dal buio della depressione.